OLOCAUSTO, FACCIAMO CHIAREZZA

In tema di Olocausto è doveroso denunciare l’indifferenza di chi sapeva, vedeva e volgeva lo sguardo altrove, ma è altrettanto giusto evidenziare l’ipocrisia di quelle nazioni che nulla fecero per evitare la persecuzione ebraica a opera del regime hitleriano e che, in definitiva… la favorirono.

Giunto al potere, Hitler attuò nei confronti degli ebrei una politica di restrizione dei diritti civili per spingerli a lasciare la Germania. L’incoraggiamento all’emigrazione degli ebrei tedeschi trovò, però, forti resistenze da parte della comunità internazionale e sfociò nel fallimento della conferenza di Evian del 1938, dove i trentadue Stati aderenti alla Società delle Nazioni avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni.  

L’incoraggiamento all’emigrazione degli ebrei tedeschi trovò, però, forti resistenze da parte della comunità internazionale e sfociò nel fallimento della conferenza di Evian del 1938, dove i trentadue Stati aderenti alla Società delle Nazioni avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni.  

Le uniche nazioni che accettarono di accogliere i rifugiati ebrei furono la Repubblica Dominicana e la Bolivia. Tutte le altre, con motivazione che oggi potremmo definire sconcertanti, rifiutarono ogni forma di accoglienza, soprattutto America, Francia e Gran Bretagna, le nazioni che maggiormente si erano prodigate – a parole – a favore degli ebrei.

L’Italia fascista, invece, pur non avendo partecipato alla conferenza (era uscita dalla Società delle Nazioni l’anno prima), da anni attuava una politica di ospitalità e assistenza nei confronti degli ebrei attraverso strutture create allo scopo che rimasero attive anche dopo, e nonostante, la promulgazione delle leggi razziali (la situazione cambiò drasticamente dopo il 25 luglio 1943 con la caduta del regime quando l’Italia diventò, di fatto, un protettorato tedesco).

La Conferenza fu promossa dal presidente statunitense Roosevelt su pressione della comunità ebraica americana. Nelle intenzioni del capo della Casa Bianca l’iniziativa avrebbe dovuto tenersi in Svizzera, la sede naturale per incontri di questo tipo ma Berna oppose un netto rifiuto per non sentirsi poi obbligata a partecipare alla ripartizione delle quote. I lavori si tennero quindi nella cittadina francese di Evian dal 6 al 15 luglio del 1938.

Hitler accolse con favore l’iniziativa (mandò degli osservatori) affermando che se le nazioni partecipanti accetteranno di prendere gli ebrei, li aiuterebbe ad andarsene. Al riguardo, sono state profetiche le parole del suo Ministro degli Esteri Von Ribbentrop:

«Vorremmo tutti sbarazzarci dei nostri ebrei ma la difficoltà risiede nel fatto che nessun Paese è disposto ad accoglierli»

La conferenza avrebbe dovuto dare una risposta umanitaria al dramma che gli ebrei stavano vivendo sotto il regime hitleriano, in realtà fu la saga dell’ipocrisia con i delegati impegnati più a giustificare il loro rifiuto che a trovare soluzioni. Il rappresentante francese motivò il suo diniego con queste parole:

«La Francia aveva raggiunto il punto estremo di saturazione riguardo all’accoglienza di rifugiati»

con riferimento ai 10mila ebrei accolti nel 1933 che vorrebbe fossero rimpatriati in Germania. Gli fece eco il delegato dell’Australia Thomas Walter White che, al secondo incontro pubblico del 7 luglio 1938, disse:

«Ad oggi non abbiamo problemi razziali. Per questo, non siamo desiderosi di importarne uno con programmi d’immigrazione di stranieri su larga scala»

Mentre il delegato del Canada alla domanda su quanti ebrei il suo Paese fosse disposto ad accogliere rispose:

«Per noi uno solo sarebbe di troppo»

La Gran Bretagna non fu da meno, si dichiarò pronta ad accettare gli ebrei, ma solo i bambini e non i loro genitori perché:

«Un improvviso afflusso di rifugiati ebrei potrebbe suscitare sentimenti antisemiti»

Gli Stati Uniti, dal canto loro, si dissero disposti ad accogliere gli ebrei a patto che la polizia tedesca rilasciasse per ognuno di essi un certificato di buona condotta. Richiesta cinica e pretestuosa: sapevano benissimo che in Germania gli ebrei erano considerati alla stregua di criminali e parassiti e che, di conseguenza, mai e poi mai le autorità di polizia avrebbero rilasciato un documento in evidente contrasto con la deformata visione hitleriana del mondo ebraico.

La Svizzera, che come detto aveva rifiutato di ospitare la Conferenza, per bocca del suo rappresentante, il dottor Heinrich Rothmund, affermò di permettere il transito degli ebrei ma non alla loro permanenza sul suolo elvetico e, paradossalmente, nel rivendicare la tradizione liberale di accoglienza di rifugiati politici, chiese di attuare misure per:

«Proteggere la Svizzera contro l’invasione di Ebrei»

A tale scopo il delegato svizzero chiese alle autorità del Reich di segnalare i cittadini di religione ebraica con una “J” (Judei) sul passaporto.

    Intanto, lunghe file di ebrei stazionavano davanti alle ambasciate e ai consolati delle nazioni estere a Berlino e a Vienna per ottenere un visto d’ingresso che veniva quasi sempre negato (come nel caso del padre di Anna Franck che l’aveva inutilmente chiesto agli uffici di rappresentanza degli Stati Uniti). Di tanto in tanto qualche permesso veniva rilasciato ma solo a persone importanti come intellettuali e scienziati, grazie anche alla mobilitazione del mondo accademico in loro favore.

La volontà emersa dalla Conferenza di Evian era di abbandonare gli ebrei tedeschi al loro destino. Non a caso la futura premier israeliana Golda Meir, che presenziò alla conferenza a nome dell’Yishuv (organizzazione di coloni ebrei in Palestina), non fu autorizzata a parlare ai delegati.

Nella dichiarazione finale della Conferenza, tra acrobazie dialettiche e frasi di circostanza, è mancata la condanna della politica antiebraica del governo tedesco, forse per non inimicarsi il Terzo Reich o forse perché, in fondo, ne condividevano la visione. Cosa avvenne dopo lo sappiamo[1]

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[1] In passato ci fu un altro infruttuoso tentativo di affrontare la questione ebraica a livello internazionale quando, nel 1933, il Consiglio della Società delle Nazioni nominò il diplomatico americano James G. McDonald “Alto commissario per i rifugiati (Ebrei e altri) proveniente dalla Germania”. Si dimise due anni dopo rendendosi conto che nonostante l’aggravarsi della situazione in Germania a seguito della promulgazione delle “Leggi di Norimberga” che introdussero ulteriori restrizioni contro gli ebrei, non vi era alcuna volontà di affrontare seriamente il problema da parte degli Stati membri. Per ulteriori approfondimenti consigliamo la lettura della relazione del Professor Giandonato Caggiano tenuta presso l’Università Roma Tre nell’aprile del 2020 dal titolo “Dalla Conferenza di Evian all’Olocausto. Il crimine internazionale di genocidio”.

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SAREMO TUTTI VACCINATI

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QUANDO LA PSICOSI CORRE PIU’ DEL VIRUS

In questi mesi è in corso la più grande vaccinazione di massa che la storia della medicina ricordi, e il dibattito tra sostenitori e contrari s’infiamma.

Da una parte abbiamo chi crede fermamente nella scienza, dall’altra chi nutre dubbi sulla sicurezza ed efficacia dei nuovi vaccini anti Covid.

A sostegno del fronte vaccinista abbiamo la scienza ufficiale e le assicurazioni delle case farmaceutiche che però non convincono del tutto.

A non convincere sono innanzitutto i tempi. Il vaccino anti Covid che ci prestiamo ad assumere è un vaccino doppiamente sperimentale. Nuovo è il virus da combattere e nuova è la tecnica a base genetica utilizzata.

Questi due fattori avrebbero dovuto indurre le industrie del farmaco e gli Enti di controllo ad agire con estrema cautela. Invece, spinti dall’emergenza e pressati dai governi sull’onda emotiva amplificata dai mezzi d’informazione, hanno preferito correre e bruciare le tappe.

Prima di entrare nel vivo della questione Covid, facciamo una breve riflessione sulla figura del negazionista, cui si contrappone quella del vaccinista.

Negazionista è chi nega la gravità del virus (è solo un’influenza un po’ più aggressiva afferma di sovente, i numeri della pandemia sono gonfiati, ecc.) e rigetta con forza le misure governative di contenimento ritenendo le mascherine inutili e le restrizioni lesive delle libertà individuali.

Il vaccinista è invece chi crede in maniera acritica alle affermazioni degli scienziati televisivi e prende per oro colato tutto ciò che ci propinano giornali e tivù. E’ uno strenuo assertore della validità dei vaccini che ritiene siano la panacea dei mali del mondo e che, se fosse possibile, prenderebbe anche a colazione. Vive d’incrollabili certezze, elaborate da altri.

Sono due posizioni estreme che hanno tuttavia una cosa in comune: l’ignoranza, intesa come mancanza di conoscenza scientifica che si associa al fanatismo e alla pigrizia mentale.

La foga con cui queste due categorie di persone si confrontano sui social a suon d’insulti, è la stessa dei tifosi del lunedì che s’improvvisano calciatori, arbitri e commissari tecnici. La differenza è che non stiamo parlando di partite di calcio, ma di una partita per la vita.

Nella prima parte di questo saggio sono ripercorse le più grandi pandemie della storia e spiegato come sono state sconfitte, alcune in modo naturale e altre grazie alla scienza: dalla Peste Nera del 1300 che uccise un terzo della popolazione europea, all’Influenza Spagnola del 1918 che fece più morti della prima guerra mondiale; parleremo della nascita del primo vaccino che permise di sconfiggere il morbo del Vaiolo e, nelle pagine di approfondimento, come negli anni venti/trenta il governo italiano debellò la piaga della Tubercolosi.

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I DANNI DEL FASCISMO E LE COLPE DI MUSSOLINI

Come fece il fascismo a sconfiggere la tubercolosi senza mascherine e distanziamento sociale?

Silvio Berlusconi a 84 anni ha contratto il virus del Covid19 e dopo due settimane è uscito dalla clinica allegro e pimpante come il presidente Americano Trump (74 anni) dopo due giorni di degenza.

Questi due esempi ci dimostrano che chiunque abbia contratto il virus può guarire. Le migliaia di morti che abbiamo registrato nel pieno della pandemia (e che speriamo di non rivedere), sarebbero state infinitamente meno se quelle persone fossero state curate adeguatamente. Non è il Virus che uccide, ma la mancanza di cure, a parte il caso di pazienti affetti da gravi patologie poi aggravate dal Covid.

Negli anni venti, prima dell’avvento del Fascismo, in Italia la Tubercolosi (TBC) infettava ogni anno 600mila persone e causava oltre 60mila vittime, soprattutto fra i bambini. Eppure nel giro di pochi anni il Regime riuscì a depotenziarlo fino a sconfiggerlo del tutto. Come fece? Prendendolo a manganellate o annegandolo nell’olio di ricino? Battute a parte, la risposta è semplice: costruendo ospedali e dotandoli delle più moderne strumentazioni tecnico-scientifiche e applicando procedure mediche all’avanguardia nella cura delle malattie infettive.

Furono realizzate negli anni del Fascismo quelle eccellenze in campo ospedaliero che tutto il mondo guardava con ammirazione e che ancora oggi rappresentano l’ossatura del sistema sanitario pubblico: a Roma lo Spallanzani, il San Camillo e il Forlanini, a Napoli il Cardarelli, a Genova il Gaslini solo per citare i più noti, cui si aggiunsero le centinaia di ospedali minori e le molteplici strutture specializzate per la cura delle patologie polmonari come, ad esempio, il Villaggio Sanatoriali di Sondalo. In pochi anni dal 1929 al 1936 furono creati oltre 20mila posti letto in sessantuno nuovi ospedali.

In ogni località termale sorgevano le Colonie Elioterapiche per la cura delle patologie polmonari e tutti gli anni i bambini potevano andare a respirare aria salubre al mare o in montagna grazie alle colonie estive. In quegli anni nessuna nazione europea investì nella sanità pubblica come l’Italia fascista. Altro che mascherine, distanziamento sociale e banchi a rotelle nelle scuole…

Sul fascismo molto si è scritto, ma poco si è compreso a causa del conformismo degli storici che pur sapendo come realmente si svolsero i fatti, tacciono e si adeguano.

In questo libro, chiaramente di parte, di quella parte di storia sul fascismo volutamente ignorata, sono affrontate le maggiori colpe attribuite a Mussolini e al suo regime: dalla presa del potere con la violenza al delitto Matteotti, dalla morte di Gramsci all’omicidio dei Fratelli Rosselli, dall’uso dei gas nella guerra d’Abissinia alle leggi razziali, dall’entrata nel secondo conflitto mondiale ai crimini della guerra civile. Fatti e circostanze descritti con rigore storico che, di conseguenza, fanno vacillare molte delle certezze che ci sono imposte fin dai banchi di scuola.

Nella seconda parte sono descritte e documentate le principali realizzazioni del fascismo. Opere, istituzioni e leggi (molte delle quali ancora in vigore a conferma della loro validità) che nei libri di testo sono ignorate o sminuite nella loro portata.

Nella terza parte, quella dedicata agli approfondimenti, si parla di come il regime, senza mascherine e distanziamento sociale, ha sconfitto la tubercolosi, una malattia infettiva che ogni anno mieteva molte più vittime del Coronavirus di oggi, soprattutto tra i bambini. Di come l’industria chimica italiana si è imposta a livello mondiale e un capitolo sul rapporto tra fascismo e turismo, sport e cultura. Sono infine smentite molte delle cosiddette “bufale sul fascismo”.

Il fascismo, piaccia o no, è parte integrante della nostra storia e non può essere racchiuso tra due parentesi come fosse una sorta d’incidente e sbrigativamente relegato in un angolo della nostra memoria collettiva, salvo poi riprenderlo per usarlo come spauracchio o come etichetta per denigrare l’avversario politico. I suoi meriti e le sue colpe vanno dibattuti con distacco e serenità. Solo così potremmo togliere spazio al fanatismo delle frange estreme e alla strumentalizzazione della politica.

Historia Magistra Vitae, affermava Cicerone. Quella vera aggiungiamo noi.

 Distribuito da Amazon, 280 pagine, euro 12. Oppure richiedere copia all’autore: ruggierogianfredo@libero.it

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E' arrivato il momento di pensare al futuro

EUROPA RISORGI

Mai come in questa circostanza avremmo avuto bisogno di un soggetto sovranazionale in grado di ergersi al disopra delle convenienze dei singoli Stati per imporre il bene comune.

L’Unione Europea (UE) ha invece dimostrato, per l’ennesima volta, di essere un’inutile e costosa sovrastruttura finanziaria.

In questo libro sono ripercorse, con una diversa chiave di lettura, le principali tappe che hanno segnato il cammino dell’Europa e dell’Occidente:

La caduta dell’Impero Romano e la fine della civiltà occidentale, il Medio Evo e l’affermazione dell’ideologia cristiana, Illuminismo e Rivoluzione Francese, l’avvento del Fascismo e la fine delle esperienze nazionali e sociali degli anni trenta soffocate dal sangue del secondo conflitto mondiale. Infine sono analizzati presupposti ideologici e culturali che hanno portato all’attuale sistema.

Nella seconda parte del testo sono poste le basi per avviare un serio e costruttivo dibattito finalizzato al superamento della vecchia concezione di democrazia imperniata sulla vetusta ideologia Liberal-Capitalista, per giungere a un nuovo modello di sviluppo economico e di assetto istituzionale basati sul binomio Democrazia Diretta – Stato Sociale.

Roma con la sua civiltà ha insegnato al mondo a camminare. L’Italia degli anni trenta ha dimostrato che può esistere uno Stato Sociale. Superiamo gli eventi e riprendiamo il cammino verso l’Europa, quella vera.

Distribuito da AMAZON, o chiedere copia all’autore  E-mail: ruggierogianfredo@libero.it 170 pagine  € 8 – E-book € 2,99

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PRODEZZE PARTIGIANE CONTRO LE DONNE

Tra i fascisti catturati dai partigiani, erano le donne a suscitare i peggiori istinti.

Per la sola colpa di essere mogli, figlie, sorelle o fidanzate di combattenti fascisti, o di aver vestito la camicia nera, erano spesso violentate e uccise da queste belve assetate di sangue e accecate dall’odio ideologico e certe dell’impunità.

I sovietici pagarono un altissimo contributo di sangue per la sconfitta tedesca nel corso della seconda guerra mondiale, ma questo non li assolve per gli stupri di massa contro le donne tedesche. Donne di qualunque età erano sistematicamente violentate e spesso uccise dai soldati sovietici o si tolsero la vita per la vergogna.

Il compito di superare le difese tedesche, che nel Lazio ostacolavano l’avanzata alleata, fu affidato alla soldataglia marocchina inquadrata nell’esercito francese. Il premio fu la libertà di stupro. Neppure le bambine si salvarono da quella che passò alla storia come “marocchinate”.

Gli americani, sfruttando lo stato di estrema povertà della popolazione italiana stremata dalla guerra, pagavano con una tavoletta di cioccolata il corpo di una donna costretta a vendersi per sfamarsi.

L’8 marzo è la festa delle donne, anche loro meritano un fiore.

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TERRORISTI CON LE ALI

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Germania, febbraio 1945 Dresda non era mai stata toccata seriamente dalla guerra, sia per la sua posizione geografica sia perché non aveva né industrie né impianti militari rilevanti (era addirittura priva di difesa antiaerea) ed era così forte la convinzione che … Continua a leggere

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LIBERATORI SENZA GLORIA

HANNO VINTO LA GUERRA

Ma per come l’hanno condotta, hanno perso per sempre la dignità.

La storia, prima o poi, gliene renderà conto

Nel corso dei conflitti l’uomo tende a perdere la sua dimensione umana per accostarsi a quella animale. Atti eroici e nefandezze si confondono nel vortice degli eventi.

Dei crimini compiuti dagli sconfitti durante la seconda guerra mondiale sappiamo tutto o quasi, ne sono pieni i libri di storia e ci vengono rammentati ad ogni piè sospinto, ma cosa sappiamo delle nefandezze dei vincitori? Delle angherie degli alleati nei confronti dei prigionieri di guerra e delle popolazioni civili sottomesse? E del lato oscuro della resistenza, quello fatto di processi sommari, fosse comune e violenze sulle donne… cosa ci è dato sapere? Praticamente nulla.

Dal libro della storia mancano tante, tantissime pagine. E’ arrivato il momento di scriverle e di sollevare quel velo di omertà e ipocrisia che da oltre settant’anni coprono le malefatte dei vincitori. Non per spirito di rivalsa, ma per amore di verità. Perché la storia o la si racconta tutta e per intero, o e meglio tacere.

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LIBRI PER CAPIRE

Quando si parla di Razzismo, la mente corre automaticamente alla persecuzione ebraica del regime hitleriano. Antiebraismo e Razzismo sono invece due fenomeni distinti e distanti nel tempo. Il primo nasce sul finire dell’Impero Romano, quando i cristiani lanciarono agli ebrei l’infamante accusa di aver voluto la morte di Gesù; il secondo, il Razzismo propriamente detto, è invece un fenomeno più recente che trae origine dalle tesi illuministe di fine settecento, involontariamente supportate dalla teoria darwiniana della selezione naturale che ha determinato, sul piano filosofico e scientifico, il mito della razza superiore.

L’antiebraismo inizia con Costantino, il primo Imperatore Romano favorevole al Cristianesimo, che impone agli israeliti alcune restrizioni come ad esempio il divieto di matrimonio tra ebrei e cristiani, equiparato all’adulterio, e la pena di morte per i cristiani che si convertono all’ebraismo. Fin qui nulla di particolarmente drammatico.

Il punto di svolta si ha con San Giovanni Crisostomo, Patriarca di Costantinopoli, il quale, con le sue omelie “Contro i Giudei”, è il primo a condannare in nome della Chiesa i seguaci della religione ebraica.

Con l’avvento delle crociate, colme di fede profonda e infarcite di fanatismo religioso, iniziano le prime ostilità nei confronti degli ebrei, che proseguiranno in crescendo per tutto il Medio Evo e ben oltre, fino a sfociare nei massacri (Pogrom), nei ghetti e nel segno distintivo sugli abiti.

Nel 1215 Papa Innocenzo III ordina che gli ebrei siano identificati con un pezzo di stoffa gialla cucita sugli abiti (la stessa, sotto forma di stella, sarà poi ripresa dai tedeschi durante il regime hitleriano).

Papa Paolo IV, nel 1555, istituisce il Ghetto di Roma, il primo di una lunga serie di domicili coatti cui sono costretti gli ebrei, quartieri circondati da alte mura e sbarrati durante la notte.

I protestanti non sono da meno. Nel 1543 Martin Lutero pubblica un libro dall’eloquente titolo “Sugli ebrei e le loro menzogne” in cui s’incita a «ripulire la Germania dalla piaga giudaica, dando fuoco alle loro sinagoghe e alle loro scuole».

A onor del vero ci furono Papi e uomini di fede che tentarono, con scarsa fortuna – essendo l’antiebraismo oramai radicato nella coscienza popolare – di contenere l’avversione per gli ebrei. Ricordiamo Papa Clemente VI che li difese dall’accusa di aver provocato la Peste Nera del 1300.

Il Razzismo, come detto, trae origini dalle tesi illuministe di fine ‘700, quando s’imposero le nuove dottrine del razzismo scientifico e della superiorità della razza bianca che portarono a giustificare la schiavitù americana, lo sterminio degli indiani nelle Americhe e la sottomissione delle popolazioni africane. Diedero, inoltre, forte impulso al nazionalismo e al neocolonialismo praticato soprattutto da Francia e Inghilterra, le due nazioni patria dell’Illuminismo e precursori della democrazia parlamentare.

A essere ridotti in schiavitù, secondo la nuova morale, sono degli esseri inferiori nati per servire la razza bianca. I filosofi illuministi amavano parlare di uguaglianza, di diritti civili e di libertà nei famosi “Cafè” d’Europa, ma il caffè zuccherato che sorseggiavano – mentre scrivevano la dichiarazione universale dei diritti umani – e il cotone dei loro abiti era prodotto da persone che nell’Africa Occidentale venivano ammassate sulle navi, trasportate attraverso l’Atlantico in condizioni spaventose, vendute all’asta e poi messe a lavorare fin quando non morivano per sfinimento.

Voltaire, universalmente riconosciuto come il padre della democrazia – suo è il famoso assioma: «detesto le tue idee, ma darei la vita affinché tu le possa esprimere» – finanziava le compagnie dedite alla tratta dei negri, a dimostrazione di come i principi di libertà, fratellanza e uguaglianza proclamati dai filosofi illuministi e sanciti nel sangue della Rivoluzione Francese riguardassero solo la razza bianca. Nel suo “Saggio sui costumi e spirito delle nazioni” scrive «I negri sono per natura gli schiavi degli altri uomini. Essi vengono dunque acquistati come bestie».

I teorici della democrazia oltre ad essere razzisti sono anche antiebraici. Lo stesso Voltaire nel suo “Dizionario Filosofico”, scriveva queste parole di fuoco a proposito del popolo ebraico: «Non troverete in loro che un popolo ignorante e barbaro, che unisce da tempo la più sordida avarizia alla più detestabile superstizione e al più invincibile odio per tutti i popoli che li tollerano e li arricchiscono»

 Anche nel campo socialista si ebbe la diffusione di atteggiamenti antiebraici: Karl Marx, nonostante fosse di discendenza giudaica, equiparava gli ebrei alla borghesia capitalistica.

 Un inconsapevole contributo al razzismo scientifico venne da Charles Darwin il quale, partendo dalle teorie di Malthus, spiega come le razze cosiddette arretrate si sarebbero estinte entro breve tempo, mentre quelle più avanzate si sarebbero sviluppate e progredite.

Concetti cardine dell’impianto darwiniano come “selezione naturale, sopravvivenza del più adatto” e il termine di “razza favorita” furono accolti con entusiasmo tanto dai teorici del razzismo, quanto dai sostenitori del libero mercato e della supremazia della razza bianca, i quali trovarono nelle teorie evoluzioniste una provvidenziale sponda scientifica ed una insperata giustificazione morale.

Nell’Europa del XX secolo, il razzismo ebbe la sua espressione più violenta nella dottrina e nella politica del nazionalsocialismo, dove l’antiebraismo fu uno dei punti forti del programma hitleriano basato sulla purezza della razza ariana.

La politica persecutoria di Hitler trovò terreno fertile in un’Europa intrisa di razzismo e antigiudaismo, presenti in particolar modo in Francia e Polonia. Come afferma il filosofo e storico Ernst Nolte: «l’antiebraismo Hitler lo ha esasperato, ma certo non determinato».

Hitler, in definitiva, non ha inventato nulla, ha semplicemente portato alle estreme conseguenze, in modo crudele e disumano, quell’antiebraismo ancora oggi presente sotto traccia nella mentalità occidentale e mai sopito.

Senza il sostegno dei filosofi e ricercatori illuministi difficilmente sarebbero stati accettati la schiavitù americana, il genocidio dei Pellerossa, la sottomissione delle popolazioni africane e la persecuzione del regime hitleriano.

L’America, quella della Statua della Libertà, dovette attendere gli anni sessanta per vedere abrogate le odiose leggi sulla segregazione razziale che prevedevano perfino il divieto di matrimonio tra persone bianche e di colore.

Nel nostro libro, “Storia del Razzismo”, ampio spazio è inoltre dedicato alla politica razziale italiana, e al comportamento delle nazioni cosiddette democratiche quando l’antiebraismo di Hitler iniziò a manifestarsi.

Giunto al potere, Hitler attuò nei confronti degli ebrei una politica di restrizione dei diritti civili per spingerli a lasciare la Germania. Per sostenere l’emigrazione, il governo tedesco stipulò con il Mapaï, antenato dell’attuale partito Laburista israeliano, un accordo, detto “Accordo di Trasferimento” (noto anche come Haavara), alla cui definizione contribuirono i futuri primi Ministri di Israele David Ben-Gurion e Golda Meir, in virtù del quale, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, dei circa 522 mila ebrei presenti in Germania, più della metà poterono lasciare il paese con i loro beni. Il problema che a questo punto si pose fu quello dell’accoglienza.

 Per superare le resistenze della comunità internazionale, restia all’accoglienza dei profughi ebrei, il presidente americano Roosevelt organizzò a Evian nel 1938 una conferenza, dove i trentadue stati partecipanti avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni: fu un completo fallimento. L’unica nazione che si propose di accogliere i rifugiati ebrei fu la Repubblica Dominicana, che ne accettò circa 700. Tutte le altre, con motivazioni più o meno plausibili, rifiutarono ogni forma di accoglienza. L’Italia Fascista, invece, da anni attuava una politica di ospitalità nei confronti degli ebrei attraverso il COMASEBIT (Comitato di Assistenza agli Ebrei in Italia), poi sostituito nel 1939 dalla DELASEM (Delegazione Assistenza Emigranti Ebrei) che tra il 1939 e il 1943 aiutò oltre cinquemila rifugiati ebrei a lasciare l’Italia per raggiungere Paesi neutrali. Purtroppo le sciagurate leggi razziale del 1938, il pegno pagato dall’Italia Fascista all’alleanza con la Germania di Hitler, imposero un’improvvisa inversione di rotta le cui ferite ancora oggi stentano a rimarginarsi.

Prima e durante la guerra, gli ebrei che tentavano di raggiungere la Palestina erano respinti con la forza e costretti a tornare in Germania con esiti spesso drammatici. Nel febbraio del 1942 lo “Struma”, una nave di profughi ebrei proveniente dalla Romania, si vide rifiutare dagli inglesi il permesso di sbarcare in Palestina e, respinta anche dai turchi, affondò nel Mar Nero colpita dai siluri di un sommergibile sovietico: 770 persone morirono nel naufragio. Caso analogo, seppur con esito meno drammatico, è quello accorso al transatlantico tedesco St. Louis con a bordo 963 profughi ebrei che, nell’estate del 1939, dopo un lungo peregrinare lungo le coste del continente americano, fu costretto a invertire la rotta per tornare in Europa a causa del netto rifiuti ad accoglierli da parte di Cuba prima e di Stati Uniti e Canada dopo.

Tutti conoscono la triste storia di Anna Frank, non tutti sanno che il padre, Otto Frank, si vide respingere più volte il permesso d’ingresso in America per la sua famiglia. Le conseguenze di questo rifiuto sono scritte nella storia.

In conclusione: Rosemberg, il teorico nazista della superiorità ariana, è stato condannato dagli uomini, ma non i suoi illuminati maestri. Hitler per la persecuzione ebraica e Mussolini per le leggi razziali sono stati anch’essi giudicati dalla storia, ma non chi, per ignavia e convenienza, nulla fece per evitarle.

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PROTESTA CONTRO NATURA

PROTESTA CONTRO NATURA

     Protestare contro i cambiamenti climatici, che ci sono sempre stati e sempre ci saranno, è come contestare i temporali. Sono fenomeni che fanno parte delle dinamiche della natura, alcuni sono ciclici e prevedibili come le stagioni, altri sono improvvisi e imponderabili come i terremoti. Eventi che dipendono da un’enorme quantità di fattori in continua modificazione, che nessun modello matematico è in grado di elaborare.

     L’isteria collettiva mette sul banco degli imputati i cosiddetti gas serra e principalmente la CO2, accusata di essere la causa primaria del surriscaldamento del pianeta. L’anidride carbonica è invece fonte di vita: è indispensabile per le piante che la trasformano in ossigeno attraverso la fotosintesi clorofilliana. Senza la CO2 non ci sarebbe alcuna forma di vita sulla terra. Per compensare l’aumento dell’anidride carbonica – che comunque va contenuto – basterebbe incrementare la quantità di alberi e di superfice verde.

     L’aria che respiriamo è costituita per l’78% di azoto, 21% di ossigeno e 1% di altri gas, dove la CO2 è presente per lo 0,03%. Un eventuale aumento della concentrazione di anidride carbonica quale incidenza può avere nei cambiamenti climatici in atto? Praticamente nulla.

     Questo, chiaramente, non significa che non va contrastato l’inquinamento dell’aria causato dalle attività umane (industria, riscaldamento, auto). Tutt’altro.

     Il nostro pianeta è un circuito chiuso dove tutto si trasforma, ma nulla si crea e nulla si distrugge (legge della conservazione della massa, Lavoisier). La quantità di energia prodotta è sempre uguale a quella consumata… se non intervengono fattori esterni. L’aumento o la diminuzione della temperatura media della superfice terrestre dipende da due condizioni: il sottosuolo, costituito dalla lava che fuoriesce attraverso i vulcani, e l’irradiazione del sole. E’ sufficiente un aumento delle attività vulcaniche di superficie e/o sotto gli oceani (la terra galleggia su un mare di magma incandescente) o un impercettibile scostamento dell’inclinazione del sole rispetto alla terra per determinare i cosiddetti cambiamenti climatici.

     La terra, da quando è nata, circa quattro miliardi di anni fa, ha subito ben quattro glaciazioni (l’ultima, quella di Würm è avvenuta 100 mila anni fa), e tra una glaciazione e l’altra il clima e la temperatura della superficie terrestre si sono ovviamente modificati. Questi cambiamenti sono avvenuti a volte in maniera graduale e quasi impercettibile, considerato il lungo lasso di tempo in cui sono avvenuti, e altre volte in modo repentino, come avvenne 15 mila anni con l’interstadio di Allerod che portò all’improvviso scioglimento dei ghiacciai alpini.

     Pretendere che il clima sia perennemente stabile e immutabile e attribuisce all’uomo il cambiamento in atto, significa non aver capito nulla di come funziona la natura.

Gianfredo Ruggiero

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L’EREDITA’ DEL FASCISMO

GLI UOMINI PASSANO, LE IDEE RESTANO

di Gianfredo Ruggiero

Nel 1929, il crollo della borsa di Wall Street mise in ginocchio tutte le economie occidentali, America, Inghilterra e Germania in testa. Le conseguenze furono drammatiche sia sotto il profilo economico sia sotto l’aspetto sociale: fallimenti a catena di società industriali e commerciali, chiusura di negozi, inflazione alle stelle, disoccupazione di massa, famiglie sul lastrico, fame e povertà diffuse.

L’Italia fu colpita anch’essa dalla crisi ma, a differenza delle nazioni capitaliste, seppe resistere meglio. Vi furono certamente una riduzione dei consumi e una contrazione dei salari (in parte compensati dalla riduzione del costo della vita), ma l’impatto che ebbero sulla vita degli italiani fu tutto sommato marginale e non produsse quei drammi umani che si registrarono negli altri paesi. Questo perché il Regime Fascista aveva da tempo allentato il legame con la finanza attraverso il controllo del sistema bancario, elaborato un vastissimo piano di opere pubbliche e, cosa non secondaria, avviato la costruzione  di un inedito Stato Sociale.

Mentre le altre nazioni annaspavano, l’Italia fu trasformata in un immenso cantiere. Si costruivano strade (la prima autostrada al mondo, quella dei laghi, fu realizzata in quegli anni), nuove città e borghi agricoli, edifici pubblici, tribunali, scuole, biblioteche, palestre e asili. L’acqua potabile e l’elettricità furono portate fin nel più sperduto paese (l’acquedotto pugliese è ancora oggi il più esteso d’Europa).

Le opere pubbliche diedero vigore all’economia, agevolando la nascita di nuove imprese e il consolidamento di quelle esistenti a beneficio dell’occupazione che fu mantenuta stabile. Fu un vero boom economico che, a differenza di quello drogato degli anni ’60, basato sull’enorme speculazione edilizia, sull’evasione fiscale e ottenuti con fondi esteri, avvenne con capitali italiani, privati e statali.

L’inflazione fu tenuta sotto controllo attraverso una ferrea politica dei prezzi applicata ai beni di prima necessità.

La campagna del Regime per il grano permise all’Italia di risanare terre incolte, dare lavoro ai contadini e a ridurre la nostra dipendenza dall’estero.

L’autosufficienza energetica con fonti ecologiche e rinnovabili fu perseguita attraverso la costruzione di centrali idroelettriche nell’ambito di un ampio piano di risanamento ambientale che vide la costituzione di grandi parchi e aree verdi (solo a Roma furono piantati migliaia di pini, lamenta la sindaca Raggi).

Purtroppo le sciagurate leggi razziali e la perdita di una guerra più subita che voluta, hanno compromesso l’immagine del Fascismo e fornito un valido pretesto agli economisti liberali e ai sostenitore del potere finanziario per stroncare sul nascere qualunque forma di dibattito che possa portare, sulla base di quanto l’Italia ha saputo realizzare in quegli anni, a un nuovo modello di sviluppo economico e a un nuovo assetto istituzionale basati sui principi di giustizia sociale e democrazia diretta.

Se il Fascismo fosse studiato e non criminalizzato, nella sua storia troveremmo le risposte alla crisi di oggi e le prospettive per il domani.

Il Fascismo è morto con il suo fondatore, ma non le sue idee che sono di una attualità sorprendente.

 

 

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LA CHIESA NELLA STORIA

In distribuzione l’ultimo libro di Gianfredo Ruggiero

LA CHIESA NELLA STORIA

Come la Chiesa ha cambiato i destini del mondo

La croce è oggi un simbolo di pace, ma in passato è stato per molti un simbolo di morte.

Dopo Costantino, la Chiesa ha varcato il confine della fede per assumere un ruolo prettamente politico. Condizionante prima e predominante poi, fino a diventare un’ideologia: l’ideologia cristiana.

In questo libro sono ripercorse le tappe della sua storia che ci portano a comprendere come la Chiesa cristiana, grazie alla fede sincera dei suoi devoti e al fanatismo dei suoi seguaci, dopo aver contribuito alla caduta di Roma, sia riuscita a imporsi come potere politico e a trasformare l’Europa medioevale in una teocrazia.

Fin dal suo esordio la Chiesa si è caratterizzata per l’avversione verso le altre religioni, tradendo la tradizionale tolleranza di Roma verso tutte le confessioni praticate all’interno dei suoi confini.

Dopo aver bandito i politeisti, definisti sprezzantemente pagani, e tentato di cancellare la cultura ellenica e il lascito di civiltà di Roma, ha perseguitato gli ebrei (“vendicheremo la morte di Cristo con il sangue degli ebrei” esordì Goffredo Di Buglione alla partenza della prima crociata). Poi ha rivolto il suo sguardo al suo interno e con la Santa Inquisizione si è macchiata di crimini indicibili contro altri cristiani definiti eretici.

Infine, per rafforzare il suo potere sulle masse volutamente lasciate nell’ignoranza, si è inventata la caccia alle streghe. In quegli anni, mentre il popolo viveva di stenti e abitava nei tuguri, la Chiesa costruiva immense cattedrali ricolme di tesori con il lavoro spesso disinteressato dei suoi fedeli, e la sua gerarchia viveva nel lusso più sfrenato nascondendosi, come oggi, dietro il paravento dei monaci e dei missionari, i veri cristiani.

La fede attiene alla sfera individuale di ognuno di noi su cui nessuno, noi per primi, ha il diritto di interferire. Su come la Chiesa ha costruito il suo potere e ha condizionato i destini dell’Umanità è invece lecito disquisire, scopo di questo saggio.

Buona Lettura.

Disponibile su AMAZON o richiedibile direttamente all’autore: ruggierogianfredo@libero.it (€8 comprese spese di spedizione)

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EUROPA RISORGI

In distribuzione l’ultimo libro di Gianfredo Ruggiero

EUROPA RISORGI

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Volume 6 della collana LA FORZA DELLE IDEE

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LIBERATORI SENZA GLORIA, i crimini alleati e le stragi partigiane

Disponibile su AMAZON il nuovo libro di Gianfredo Ruggiero

Volume 5 della collana La Forza Delle Idee
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Disponibile il nuovo libro di Gianfredo Ruggiero STORIA DEL RAZZISMO

 

Quando si parla di razzismo, la mente corre automaticamente alla persecuzione ebraica ad opera del regime hitleriano.

Si dimentica che il razzismo viene da molto prima di Hitler, da quando, sul finire del XVIII secolo, si affermò la filosofia illuminista della “Dea Ragione” da cui derivarono il razzismo scientifico e il mito darwiniano della razza superiore.

In questo testo sono scoperti gli scheletri nascosti negli armadi degli antirazzisti di oggi e l’ipocrisia dei “democratici” di ieri, che pur sapendo nulla fecero per salvare gli ebrei dalla persecuzione nazista; e delle nazioni, cosiddette democratiche, che chiusero le loro frontiere e i loro porti ai profughi ebrei provenienti dalla Germania.

L’intolleranza religiosa della nascente Chiesa di Roma verso i giudei, accusati di aver voluto la morte di Gesù, ebbe un ruolo fondamentale nella genesi dell’antiebraismo che si sarebbe consolidato durante il Medio Evo, e portato alle estreme conseguenza dalla Germania Nazionalsocialista.

Le leggi razziali Fasciste del 1938 furono indubbiamente un’infamia, anche se…furono molto meno repressive e molto più tolleranti di quelle contro i neri e le minoranze etniche in vigore in America fino agli anni sessanta.

In questo libro, ricco di note di approfondimento e di riferimenti storici, sono analizzati tutti gli aspetti di un fenomeno, il razzismo, che scuote le coscienze delle menti libere, ma che, purtroppo, ben si presta alla speculazione politica di oggi.

Euro 8 comprese spese di spedizione. Richiedere copia autografata a ruggierogianfredo@libero.it

Acquistabile anche tramite AMAZON LIBRI Euro 8,32 – versione  E-Book Euro 0,99

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Volume 1 della collana LA FORZA DELLE IDEE. Di prossima pubblicazione: 2) La Chiesa nella Storia. 3) Storia del Fascismo. 4) Le vere cause della seconda guerra mondiale. 5) Liberatori senza gloria. 6) Europa risorgi; 7) Ecologia Sociale.

 

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Cavalieri di un’Idea

Siamo di DESTRA perchè sosteniamo la libertà d’impresa e la proprietà privata; siamo di SINISTRA perchè vogliamo la giustizia sociale; siamo AMBIENTALISTI perchè rispettiamo la natura e amiamo gli animali.

Provate ad appiccicarci un’etichetta…se ci riuscite

 

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LA MARCIA SU ROMA

Sfatiamo il mito della Marcia su Roma

Di Gianfredo Ruggiero

La Marcia su Roma fu sostanzialmente una parata che poco o nulla influì sulle vicende politiche che ne seguirono.

Nei libri di storia la marcia su Roma è presentata come un colpo di stato incruento o come un tentativo d’insurrezione armata. In realtà fu solo una manifestazione di piazza che poco influì sulle sorti politiche dell’Italia.

Con questa prova di forza Mussolini voleva semplicemente accelerare i tempi per ottenere la guida del Paese.

Mentre organizzava le due grandi manifestazioni di piazza, quella di Napoli del 24 ottobre e quella che sarebbe passata alla storia come la Marcia su Roma del successivo 28 ottobre, il futuro Duce trattava con i partiti dell’area governativa per costituire un governo di coalizione. Non a caso il giorno della marcia Mussolini era a Milano per definire gli ultimi accordi.

Quando due giorni dopo, il 30 ottobre del 1922, il Re gli conferì l’incarico, la lista dei Ministri era già pronta. Di questa compagine i dicasteri affidati ai fascisti erano solo tre. Vi erano rappresentate tutte le forze parlamentari, eccetto socialisti e comunisti. In pratica fu un governo che oggi definiremmo di larghe intese.

Senza il sostegno dei partiti cattolici e liberaldemocratici, da quello popolare vicino al Vaticano a quelli liberali di Giolitti e Salandra, con appena trentacinque deputati, Mussolini non sarebbe mai andato al potere.

Il 16 Novembre si presentò al Parlamento, dove ottenne alla Camera una larghissima maggioranza (306 voti favorevoli, 116 contrari e sette astenuti). Schiacciante fu poi la fiducia ottenuta al Senato dove i voti contrari furono solo diciannove.

In Parlamento, Mussolini incassò la piena fiducia di personalità politiche di grande rilievo come i futuri presidenti della Repubblica Enrico De Nicola e Giovanni Gronchi (che entrò nel governo come sottosegretario all’industria e al commercio). Figuravano anche nomi importanti del panorama politico italiano come quello di Alcide De Gasperi, futuro Presidente del Consiglio nell’immediato dopoguerra e dei precedenti capi del Governo Giolitti, Salandra, Facta, Bonomi e Orlando.

Se Mussolini fosse andato al potere con la violenza, come sostengo i malinformati, dubitiamo fortemente che avrebbe avuto il sostegno dei sopracitati statisti e il voto favorevole del Parlamento. La sua nomina fu inoltre salutata con soddisfazione da personalità del mondo culturale e accademico come Luigi Pirandello, Guglielmo Marconi e Giuseppe Ungaretti.

Mussolini, a soli trentotto anni (fu il più giovane capo di governo della storia, come giovani erano gran parte dei suoi ministri e parlamentari: la canzone “giovinezza“, inno del Fascismo, non fu casuale), ottenne quindi l’incarico di formare il suo governo non in virtù di una manifestazione di piazza, seppur massiccia e ben organizzata, bensì in forza delle sue capacità di mediazione politica e di coinvolgimento sociale che lo indicavano come l’unico in grado di reggere le sorti del paese in quel difficile momento storico.

Gli storici marxisti insistono ancora oggi a presentare il Fascismo come braccio armato del capitalismo, composto quasi esclusivamente da una minoranza facinorosa di piccoli borghesi e di ex militari ambiziosi e frustrati. Le ricerche di Renzo De Felice, Arrigo Petacco e Indro Montanelli, alcuni tra i più autorevoli e profondi conoscitori del Fascismo, dimostrano invece il contrario.

Quello mussoliniano, fu invece un grande movimento di massa nel quale affluì con entusiasmo gran parte della classe lavoratrice attratta dal suo programma socialmente avanzato e stanca della litigiosità dei partiti tradizionali e dell’inconcludente sindacalismo, come dimostrato dal fatto che, in occasione della marcia su Roma, la social comunista CGL neppure si azzardò a proclamare uno sciopero generale certa che si sarebbe concluso con un flop. Tratto dal libro:” I DANNI DEL FASCISMO E LE COLPE DI MUSSOLINI”

Distribuito da Amazon, 360 pagine euro 14, E-book euro 5,99. Oppure richiedere copia all’autore: ruggierogianfredo@libero.it

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SAREMO TUTTI VACCINATI

In epoca di conformismo ragionare con la propria testa è diventato quasi un reato. Mentre la pigrizia mentale è elevata a virtù. Perché affaticarsi a informarsi, a leggere e a perdere tempo per riflettere quando basta ripetere a pappagallo quello che dice la televisione per sentirsi scienziati? E’ quanto in sintesi ci dicono i venditori di vaccini.

Da parte nostra, siamo pronti a vaccinarci, ma devono convincerci con argomenti scientifici e ragionamenti logici e non con le solite frasette che non dicono nulla, tipo:

“è giusto e doveroso vaccinarsi, per sé e per gli altri”

Perché gli scienziati e i politici a favore di questi vaccini (gli unici cui è consentito parlare), invece di terrorizzare la gente prefigurando scenari apocalittici, inseguendo giovani e anziani con la siringa in mano ed escludendo dalla vita sociale (e in alcuni casi, lavorativa) le persone che non vogliono vaccinarsi, non tentano di sciogliere i dubbi degli scettici e dei diffidenti?

La risposta è semplice, non lo sanno. Non sono in grado di convincere le persone perché non hanno argomenti e allora ricorrono all’unico strumento che sanno usare bene, quello coercitivo. Come fa il genitore autoritario quando il figlioletto non ubbidisce e fa domande scomode e imbarazzanti:

“si fa così e basta, quando sarai grande capirai!”

La maggioranza delle persone che si sono recentemente vaccinate l’hanno fatto sotto la pressione di quell’orrendo strumento costrittivo chiamato “Green Pass”, e non perché si sono improvvisamente convinte della efficacia e sicurezza di questi vaccini.

Il problema è che questi prodotti non sono vaccini. Gli chiamiamo vaccini anche noi per comodità di linguaggio, ma in realtà sono terapie geniche sperimentali, i cui riscontri inizieranno ad arrivare negli studi scientifici di statistica fra non meno di tre/cinque anni (i protocolli dell’OMS e dell’ISS parlano di sette/dieci anni per giungere a completare l’iter di sperimentazione sull’uomo).

I vaccini convenzionali rimangono fuori dalla cellula per essere individuati dai recettori posti sulla parte esterna della membrana cellulare. I vaccini anti Covid, che sono frammenti di codice genetico virale, per la prima volta nella storia dei vaccini, entrano nel corpo cellulare e come hanno facilmente attraversato la membrana cellulare (avvolti in una capsula lipidica detta liposoma), allo stesso modo possono superare senza difficoltà quella nucleare che avvolge e protegge il bene più prezioso per un essere vivente, il suo codice genetico (il DNA). Se ciò avvenisse, se il codice genetico del virus entrasse in contatto con il codice genetico dell’uomo, le conseguenze sarebbero imprevedibili e potrebbero anche essere drammatiche perché… con la genetica non si scherza!

La possibile interazione tra il codice genetico virale e il genoma umano non può essere esclusa a priori, questo i ricercatori farmaceutici lo sanno benissimo.

Un conto è la sperimentazione in laboratorio, in vitro e su cavie animali, un altro è la verifica sul campo su una popolazione mondiale di sette miliardi d’individui tra loro diversi per sesso, età, stato fisico e clinico, condizioni di vita e geografiche.

Una persona adulta in buono stato di salute, un adolescente durante la crescita, un anziano afflitto da gravi patologie e una donna in gravidanza hanno un comportamento fisiologico e metabolico diverso e diversa è la risposta ad un qualunque prodotto farmaceutico. Di questo tiene conto il medico coscienzioso quando prescrive il dosaggio di un farmaco. Il vaccino che ci stanno propinando è invece uguale per tutti. La stessa dose è destinata indiscriminatamente a giovani e giovanissimi, adulti e anziani, sani e malati.

Va tenuto presente che non stiamo parlando di un farmaco, ma di un vaccino. La differenza è sostanziale: un farmaco agisce ad ampio spettro, un analgesico ad esempio cura una vastissima gamma di patologie, il vaccino è invece altamente specifico, è prodotto sulla base di un ceppo virale ben definito e agisce solo su quello. Se il virus cambia, il vaccino è del tutto inefficace.

Gli anziani si ammalano più facilmente degli adulti perché hanno un sistema immunitario indebolito e poco reattivo. Inoculargli un vaccino (non dobbiamo mai dimenticare che i vaccini sono virus o parte di essi) significa metterlo a dura prova. Come far correre a perdifiato un ottantenne cardiopatico per stimolargli la circolazione cardiaca: non rischia l’infarto?

Si sta discutendo sull’ipotesi di estendere l’obbligo vaccinale ai dodicenni, cosa folle. I bambini a quell’età hanno un sistema immunitario che si sta perfezionando: è proprio il caso di iniettargli una dose virale di cui, oltretutto, non abbiamo il pieno controllo? E poi quanti dodicenni, da quando è iniziata la pandemia, sono stati ricoverati nei reparti Covid? Zero!

Variante Delta: i contagi aumentano e gli ospedali si svuotano

Nel bollettino del 24 luglio 2021 i ricoverati in terapia intensiva per Covid in Italia sono 177, su una popolazione di oltre 60 milioni di persone. La spiegazione fornita dai predicatori del verbo è la seguente.

I contagi aumentano a causa della variante, mentre i ricoveri diminuiscono grazie ai vaccini

A smentire quest’affermazione non serve scomodare la scienza, basta un minimo di ragionamento.

Primo. Se la variante Delta si diffonde soprattutto in quei paesi come l’Inghilterra e Israele che hanno il più alto tasso di vaccinati nel mondo significa una sola cosa, che il vaccino nei confronti delle varianti è totalmente inefficace. E questo è perfettamente prevedibile, altrimenti non si spiegherebbe perché tutti gli anni i vaccini antinfluenzali stagionali cambiano. I vaccini in distribuzione oggi sono gli stessi dello scorso inverno quando sono stati prodotti, solo che nel frattempo il virus usato come stampo si è modificato in modo esponenziale dal passaggio da un organismo e l’altro fino a generare le varianti che conosciamo e quelle che scopriremo. Come fa il vaccino dello scorso anno, che come abbiamo detto è altamente specifico, ad essere efficace anche su ceppi virale diversi? E’ come pretendere di cambiare la serratura mantenendo la stessa chiave.

Secondo. Se gli ospedali si svuotano significa che le persone non si ammalano. Delle due l’una o il Covid Delta è un bluff, cioè non provoca nessuna malattia, oppure i numeri dei contagiati sono inattendibili (falsi positivi). Teniamo presente al riguardo che positivo non significa contagiato.

Terzo. Affermano che giovani sono maggiormente esposti al Covid e per evitare che possano contagiare il nonno vanno massicciamente vaccinati. Siccome di giovani nei reparti Covid se ne vedono ben pochi, allora dal cilindro di questi scienziati-prestigiatori viene fuori la parolina magica che mette tutte le cose a posto:

 Asintomatico

Il Covid è un virus influenzale che come tale colpisce le vie respiratorie, l’apparato più sensibile del nostro organismo. Una persona, soprattutto giovane, che ha in corpo una concentrazione di virus tale da infettare gli altri dovrebbe avere come minimo i polmoni devastati. E non sene accorge?

Chiudiamo questa breve esposizione con la classica altisonante frase che usano i saccenti per tapparci la bocca:

Lo dice la scienza

Quale scienza? Domandiamo noi, quella pura, disinteressata e votata unicamente al bene comune di una volta o quella di oggi legata agli interessi economici delle industrie del farmaco?

Un paio di esempi: la casa farmaceutica Moderna, produttrice di uno dei vaccini anti Covid, nel 2000 valeva cinque miliardi di dollari ora ne vale cento. Bill Gates, il filantropo affarista, nel 2019, con perfetto tempismo, ha investito nella BioNtech cinque milioni di dollari che oggi sono diventati oltre trecento.

Non vi viene il dubbio che lo strapotere delle case farmaceutiche che finanziano gli enti governativi di controllo sui farmaci (l’europea EMA e l’italiana AIFA), le associazioni mediche di categoria e la ricerca scientifica nelle università; che uno dei maggiori finanziatori dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sia, guarda caso, la fondazione “filantropica” di Bill Gates e consorte; che le più prestigiose riviste scientifiche sono tenute in vita grazie alla pubblicità di Big Pharma, abbiano come unico scopo quello di vendere vaccini? Sono in molti, sfregandosi le mani, a sussurrare… forza Covid.

Nel libro troverete tutti gli approfondimenti e le spiegazioni scientifiche di queste e altre tematiche legate alla pandemia, è distribuito da Amazon nei due formati elettronico (E-book) e cartaceo. Può anche essere richiesto direttamente all’autore, ruggierogianfredo@libero.it   230 pagine euro 12.

Circolo Culturale Excalibur, il presidente Gianfredo Ruggiero

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SECONDA GUERRA MONDIALE

10 giugno 1940, L’Italia entra in guerra

NE POTEVAMO STARE FUORI?

Una delle accuse più infamanti rivolte a Mussolini è quella di aver trascinato l’Italia in guerra. Come vedremo, l’Italia non poteva rimanere fuori da un conflitto di dimensioni mondiali e che, oltretutto, si sarebbe sviluppato nel Mediterraneo, il Mare Nostrum.

Mussolini entrò in guerra il 10 giugno del 1940, un anno dopo lo scoppio del conflitto, basterebbe questa circostanza per ridimensionare la portata delle accuse di frenesia di guerra che gli sono rivolte.

Mussolini era riluttante, perché consapevole dell’impreparazione militare dell’Italia e conscio dell’assoluta inaffidabilità dei vertici militari, in particolare di quelli della Regia Marina legati ai circoli massonici inglesi.

Quando si decise a compiere il grande passo, la Germania era vittoriosa su tutti i fronti: dopo aver sbaragliato in poche settimane e con estrema facilità, quelli che allora erano considerati i più potenti eserciti al mondo, quello francese e quello inglese, i tedeschi avevano occupato gran parte dell’Europa continentale e si apprestavano ad invadere l’Inghilterra.

In questa situazione, ci domandiamo, con chi l’Italia avrebbe dovuto allearsi, con la parte soccombente per essere a sua volta occupata dai tedeschi?

Inoltre, dopo l’annessione dell’Austria Hitler guardava con interesse al Sud Tirolo italiano e a uno sbocco sul mar Adriatico attraverso l’annessione della pianura padana. Non fidandosi dei tedeschi, nel 1939 Mussolini fece edificare al confine con l’Austria il Vallo Alpino, un sistema difensivo per fronteggiare una possibile invasione da parte della Germania.

Mussolini poteva anche rimanere neutrale seguendo l’esempio della Spagna di Franco, sostengono alcuni storici (cosa che, in effetti, tentò di fare, come vedremo più avanti). Questo è vero, salvo poi pagarne le conseguenze: Hitler aveva già previsto di regolare i conti con il Caudillo, accusato di scarsa riconoscenza per l’appoggio tedesco e italiano nella guerra civile spagnola e per aver negato il permesso di transito alle truppe tedesche per l’occupazione di Gibilterra (operazione Felix), dopo la conclusione del conflitto.

La stessa opinione pubblica italiana, affascinata dalla stravolgente potenza tedesca, era passata dall’avversione alla guerra alla psicosi interventista, dalla non belligeranza all’ossessionante timore di arrivare tardi. In molti da mesi rimproveravano a Mussolini di “stare guardando troppo dalla finestra”. Situazione paradossale che lo porta a sbottare:

«Adesso tutti desiderano sparare il primo colpo di fucile. Il Re, lo Stato Maggiore, i gerarchi.Per quanto paradossale sembri, l’unico pacifista sono rimasto io, io solo!»

Mussolini, fino alla stipulazione del patto d’acciaio del 22 maggio 1939 che legò i destini dell’Italia alla Germania, aveva cercato di instaurare un rapporto privilegiato con le potenze democratiche. Fu l’avversione ideologica della Francia social comunista di Leon Blum e il comportamento contraddittorio della Gran Bretagna a impedire un accordo in funzione anti tedesca.

La diplomazia fascista, infatti, aveva sempre rigettato la politica dei blocchi ideologici contrapposti. Il suo obiettivo era di costituire un direttorio tra le quattro maggiori potenze europee, Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia. Questa soluzione, che avrebbe potuto garantire pace stabilità negli anni a venire, fu volutamente ignorata da Francia e Inghilterra perché avrebbe significato il riconoscimento dello status di potenza militare dell’Italia all’interno dello scacchiere europeo con il conseguente ridimensionamento delle loro pretese egemoniche.

Dopo l’impresa coloniale del 1936 e la partecipazione alla guerra di Spagna del 1939 l’Italia aveva bisogno di un periodo di pace per consolidare la propria economia, completare le riforme istituzionali e rafforzare lo Stato Sociale.

In quel periodo Mussolini non spasimava certo per una nuova avventura militare, per giunta a fianco di un alleato che diffidava e verso il quale avvertiva un’umana antipatia.

Il dramma di Mussolini, con una Nazione né economicamente, né militarmente in condizione di entrare in guerra, consisteva nel come poter evitare o comunque procrastinare un nostro intervento che appariva sempre più ineluttabile.

Lo conferma la sua partecipazione alla conferenza di Monaco del 29 settembre 1938 tra Germania, Italia, Francia e Gran Bretagna la cui presenza è stata fortemente voluta dal primo ministro britannico Chamberlain per tentare di impedire, con l’intermediazione di Mussolini, l’annessione con la forza alla Germania dei Sudeti, obiettivo dichiarato di Hitler.

La mediazione del Duce permise di scongiurare un conflitto che sembrava imminente e tolse dall’imbarazzo Francia e Inghilterra poco propensi ad intervenire militarmente a sostegno della Cecoslovacchia, che fu quindi sacrificata nell’illusione di aver preservato la pace in Europa.

Questa illusione svanì pochi mesi dopo, nel Marzo 1939, quando, nonostante gli accordi di Monaco, le forze armate germaniche presero possesso della restante parte della Cecoslovacchia senza che le altre potenze Europee muovessero un dito.

 Questi fatti fecero capire a Mussolini quanto inaffidabili fossero le nazioni democratiche e quanto determinati e pericolosi erano invece i tedeschi.

Allo scoppio delle ostilità Mussolini non si perse d’animo e tentò di organizzare il “blocco dei neutrali”, il fronte neutralista dei paesi balcanici e danubiani che insieme alla Turchia guardavano all’Italia come alla potenza che avrebbe potuto guidare un’alleanza di tutti gli Stati europei, compresa la Spagna, che intendevano restare fuori dal conflitto.

Il progetto fallì quando Hitler, che in un primo momento sembrò disinteressato, si rese conto che la leadership del Blocco avrebbe significato per l’Italia l’egemonia su un territorio che la Germania voleva invece acquisire alla propria sfera d’influenza.

 Allo scoppio del conflitto, Mussolini s’invento la formula della “non belligeranza”, che gli permise di rimanere fuori dal conflitto per un quasi un anno, nella speranza che la guerra nel frattempo si concludesse.

A spingere Mussolini verso la guerra fu infine la decisione inglese, nel febbraio 1940, di estendere l’embargo alle navi tedesche che trasportavano il carbone destinato all’Italia (indispensabile per una nazione industrializzata come la nostra), e proponendosi si sostituirlo con quello inglese in cambio di forniture di armi e munizioni.

Alla risposta negativa da parte italiana (la fornitura all’Inghilterra di armamenti sarebbe stata una palese violazione della neutralità, e avrebbe esposto l’Italia all’inevitabile reazione tedesca), l’Inghilterra mise in atto il blocco impedendo l’approdo dei trasporti navali sulle nostre coste e confiscandone il carico.

La pretesa inglese di scambiare il suo carbone con armi e munizioni italiane dopo aver bloccato i rifornimenti dalla Germania, che si configurava come un vero e proprio ricatto, fu l’ultimo atto di protervia che spinse Mussolini a rompere gli indugi e a entrare in guerra a fianco di Hitler allo scopo, si badi bene, non di condividere gli obiettivi tedeschi, bensì per liberare il Mediterraneo dal dominio inglese (la cosiddetta guerra parallela).

 L’affermazione che ci sentiamo ripetere da ottant’anni: “Mussolini ha trascinato l’Italia in guerra” si svela ora in tutta la sua totale infondatezza.

Gianfredo Ruggiero

Distribuito da AMAZON anche nel formato E-book, oppure chiedere copia all’autore: ruggierogianfredo@libero.it

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CAMBIANO I TEMPI MA LA CHIESA E’ SEMPRE LA STESSA

Durante il Medioevo la gente moriva di fame e la Chiesa accumulava enormi ricchezze;

il popolo viveva nei tuguri e i Papi costruivano immense cattedrali colme di tesori;

invocava la pace e armava gli eserciti;

come oggi, mandava in prima linea i missionari e loro vivevano nel lusso.

Verrà il giorno in cui la Chiesa renderà conto a Dio del suo agire materiale.

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